Lui & Lei
prime esperienze 1

20.02.2016 |
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"Si tolse definitivamente la maglietta e in quel momento avrei potuto fargliele, almeno una di domande, ma ancora una volta me ne stetti zitta..."
( Una storia vera.) Avevo 12 anni e in quel tempo vivevo in campagna insieme ai miei genitori e a un fratello più grande di me di pochi anni, lui ne aveva 16. Io frequentavo la scuola dell’obbligo mentre lui frequentava un istituto agrario aspirando al titolo di perito. Da poco raggiunto il menarca avevo conosciuto le prime traumatiche mestruazioni.Le ghiandole mammarie si erano sviluppate e anche il peli pubici si erano infoltiti. Ero ormai una donna a tutti gli effetti. Pur essendo ancora considerata una bambina ero a conoscenza di tutti i segreti e particolari che componevano le relazioni tra maschi e femmine. Certo, erano solo teorici, conoscenze acquisite da pettegolezzi tra amiche e dai numerosi aneddoti che sentivo divulgare da maliziose insinuazioni e barzellette di ogni tipo raccontate in diversi luoghi, oltre hai numerosi giornali scandalistici che bramavo occultamente leggere. Nell’ambiente famigliare avevo la sensazione di essere mal accettata, mi sentivo trascurata, provavo invidia e gelosia nei riguardi di mio fratello che essendo il maschio, “il reuccio della casa,” tutte le attenzioni e i privilegi erano riservati a lui, e, a quell’età mi facevano patire e non poco. Così un morbo si instaurò in me, oltre a un sentimento di ostile acredine nei suoi confronti. Mio padre era sempre nei campi dove il lavoro non gli dava tregua e mia madre molto spesso lo aiutava. Nel periodo estivo il lavoro conosceva la sua massima intensità e richiedeva costantemente anche la sua presenza, così noi due, io e mio fratello, restavamo soli a studiare e a fare i compiti assegnatoci. Prima del crepuscolo avevo l’impegno di preparare la tavola per quando mia madre fosse rincasata per preparare la cena. Ma prima di esaudire detta incombenza usavo farmi una doccia seguita subito dopo da mio fratello il quale mi imitava per poi liberare il bagno per quando sarebbero rientrati i “matusa.” Una sera entrata in bagno, dopo alcuni minuti mi accorsi che mancava un asciugamano per cui dovetti uscirne per fornirmene dall’apposito armadio. Ero ancora nel corridoio quando udii un rumore soffice e furtivo, come se qualcuno stesse scendendo dalle scale evitando di farsi scoprire. Diedi un’occhiata ma non scorsi nulla di sospetto.Strano, pensai e la cosa mi insospettì. Lì per lì lasciai correre, ma in seguito tornai mentalmente su quell’insolito episodio. Eravamo soli in due in casa e io ero al piano superiore, quindi! Un atroce dubbio riaffiorò nella mia mente. Era consuetudine non chiudere il bagno a chiave, nostro padre ce lo aveva imposto. In caso di emergenza se la porta fosse stata chiusa avrebbe dovuto sfondarla per soccorrere chi si trovava all’interno per cui usavamo un cartellino all’esterno bi-colorato per indicare libero o occupato. Per assicurarsene che venisse rispettata tale regola aveva sottratto la chiave dalla toppa. Ero ragazzina, e tutto in me era ancora infantile, ma la malizia non mi mancava. Mi chiesi se quel manigoldo di mio fratello fosse stato tanto ardito da mettersi davanti al buco della serratura avrebbe potuto spiarmi mentre ero nuda, e, se così fosse stato mi chiedevo da quanto tempo e quante volte l’avesse fatto. Era solo un sospetto ma richiedeva un accurato approfondimento. Per quella sera tralasciai senza fare domande ne generare allarmismi. La sera dopo e le successive appena entrata mi mettevo a origliare prestando attenzione al ogni impercettibile rumore. Avevo raffinato l’udito tanto da percepire il crescere dell’erba. Indagai fino a quando non ebbi più dubbi, qualcuno saliva le scale furtivamente e la motivazione non poteva che convalidare i miei sospetti. Ripresa da quell’emozione calcolai freddamente quello che dovevo fare per sorprenderlo. Dunque; io ero dentro nuda intenta alla mia intimità personale e lui, il mio adorato porcellino ne approfittava contemplandomi dal buco della toppa, a pochi centimetri dal mio corpo. E a quell’età ci voleva poco ad immaginare che si sarebbe anche agitato. La certezza di trovarmi nuda davanti a un uomo, anche se sapevo familiare, mi interdette. Tremante, venni colta da un timoroso pudore. Capivo di avere un problema, complesso, tra l’altro. Cosa avrei dovuto fare? L’avere un fratello maggiore mi aveva costretta a imparare strategie nell’elaborazione di alternative di fronte a circostanze inattese. Smascherarlo e dirlo a mia madre? No! Non mi avrebbe creduta, si sarebbe convinta che fosse una elucubrazione per screditare mio fratello e attirare le attenzioni su di me. Sapevo che fino a quando non fossi certa su cosa fare, l’unica cosa da fare era non fare niente. Decisi di stare alla finestra a guardare fino all’insorgere di una idea brillante e risolutiva, e per farlo avrei dovuto fare ricorso a tutta la mia logica, ma invano non ero giunta a una conclusione soddisfacente. Decisi di chiudere il segreto in un cassetto. Poteva ferirmi un’occhiata? Anche se quell’evento nella mia vita quotidiana avesse una qualche importanza, mi lasciai andare in una forma di ambiguità. Era una banalità assoluta. Se a lui andava di spiarmi facesse pure, a me non costava nulla. E se proprio si godeva perché non incentivargli tale gratuito piacere? La sera dopo, certa che lui fosse li fuori con due occhi fiammeggianti, sedotto dalla visione del mio corpo, immaginavo la sua faccia da vizioso mentre si stava rosolando a fuoco lento. Sarei diventata per lui una calamita che lo avrebbe attratto verso di me. La mia fantasia era dell’adolescenza per cui solo all’inizio, ma sapevo di avere quella cosa: quel potere. E incominciai subito a stagliarmi nelle posizioni strategiche per facilitargli la veduta delle mie intimità. Mi mettevo davanti allo specchio e mi stuzzicavo le tettine che giorno dopo giorno aumentavano di volume. Mi pettinavo la folta criniera che mi era spuntata sul pube. Lasciavo cadere oggetti per poi raccoglierli mostrandogli accuratamente le chiappette. Le sperimentavo di giorno per potergli offrire ogni sera uno spettacolo nuovo, originale e stimolante. Le stesse cose imparavo a migliorarle e perfezionarle sempre di più. Avrei anche potuto chiudere la toppa e finirla lì, oppure aprire la porta e prenderlo a schiaffi, ma proprio non mi andò di farlo. Il gioco stava diventando entusiasmante anche per me e accolsi con avidità l’occasione che mi era stata offerta, ma sapevo anche di dovermi moderare per non metterlo all’erta. Fomentata dall’essere osservata, provavo l’alito gelido dell’adrenalina scorrermi lungo la schiena. Il maialino si trastullava nel curiosare e io a farlo infervorare, ma avevo trascurato l’effetto di dipendenza che avrebbe avuto su di me. Ad ogni sera il mio accanimento si faceva più intenso, era un appuntamento al quale non potevo più rinunciarvi. Il buco della serratura si era trasformato in un obbiettivo al quale non potevo più sottrarmi. Ero ancora giovane e non conoscevo la vera eccitazione sessuale, ma l’ardore che provavo era tangibile. Ero conscia che non avrei dovuto farlo, sapevo che sarebbe bastato mettere un asciugamani sulla maniglia e il gioco si sarebbe spento nella casualità, ma nonostante la mia lucidità decisi di percorrere quella strada senza conoscerne il vero e imprevedibile traguardo. Mentre mi soffregavo con creme e deodoranti lo immaginavo strabiliato davanti alla porta mentre si smanettava il suo salsicciotto assatanato. - Non avevo ancora le idee ben chiare sulla faccenda. - Quello che conoscevo era limitato al vociferaredei maschietti, alle confidenze che avvenivano tra di noi amiche sempre ansiose di rivelarci i nostri recenti scoprimentidai ragazzi trepidanti che scarabocchiavano i muri con schizzi porno: un tacito tentativo di provocare fermento in noi femminucce. Leggevo avidamente le riviste di mia madre, dalle quali bevevo come un’assetata alla fonte della conoscenza le risposte dei sociologi e dei ginecologi alla posta inviata dalle lettrici. Ero ancora immatura ma avevo intuito dai racconti e dalle esperienze dei grandi, che il sesso era una strada costellata di precipizi e trappole infide. Eppure qualcosa sapevo, limitato alla teoria , ma di qualsiasi cosa. C’erano talmente tanti libri, film, spettacoli televisivi ove tutti dichiaravano di voler spezzare l’ultimo tabù. Sapevo anche che i bambini non nascevano sotto i cavoli. Eravamo a metà maggio e tra pochi giorni sarebbero finite le scuole per cui ritenni non propizio quel periodo per dare vita a una vicenda della quale, come in un incendio, non avrei potuto prevedere il gioco delle fiamme. Ormai avevo assaporato le erbe dolci del piacere e nulla mi avrebbe frenata, ma nel frattempo non avrei dovuto tradire la mia profonda agitazione. Non spiavo più i suoi movimenti dando per scontato che lui fosse sempre lì, ogni sera per sbirciarmi, mentre io usavo ogni astuzia per rendermi viva e animargli il fuoco della sua curiosità. Con pazienza avrei dovuto attendere il momento propizio in cui l’avrei svelato, ma, per poterlo minacciare di metterlo alla gogna avrei dovuto avere almeno una, seppur esigua prova. Non mi restava che aspettare.
Finirono le scuole e io ero prossima al compiere i miei tredici anni. Eravamo in piena estate, le giornate erano calde e noiose. Trascorrevo il tempo tra libri, giochi di parole, tv, cose del genere, che noia!
Invocai la mia musa ispiratrice, colei che doveva suggerirmi l’opera che io avrei accompagnata nella sua realizzazione. Lui, quello che io vedevo come il viziato figlio del privilegio, come ogni anno, finite le scuole, si interessava vivacemente ai tornei calcistici organizzati non so da chi, ma sapevo che si sarebbero giocati le sere sul campetto della canonica ai quali avrei desiderato assistere insieme alle mie amiche, ma io, essendo troppo piccola, ne ero sempre stata esclusa. A quell’ora, nella tarda serata, mi era tassativamente proibito essere fuori casa da sola, e siccome mio fratello non voleva saperne di accompagnarmi la mia sventura si ripeteva di anno in anno. Che l’inferno lo incenerisse tra le sue fiamme. Io ero tutto ciò che non volevo essere e lui aveva tutto ciò che a me mancava. Aveva un modo di fare lento e riflessivo, come se misurasse ogni parola che diceva. La zimbella di famiglia, per merito delle sue grazie, aveva estrapolato la parte più infida del portento incarnato. E quello mi esaltava facendomi sentire una protagonista. Ebbi una folgorazione e l’idea si materializzò all’improvviso. Senza ritegno gli avrei dato quello che bramava e io avrei potuto esaudire il mio capriccio che per lui sarebbe stato molto semplice e a basso costo: che mi accompagnasse nelle ore serali in paese e in cambio io gli avrei concesso di vedermi nella mia nudità. E, se proprio si divertiva tanto gliela avrei offerta a sua discrezione senza dovermi faticosamente spiare. Non ci vedevo nulla di male né di impudico, alla resa dei conti ero la sua sorellina e tutto restava in famiglia. E se non avesse accettato lo avrei messo alla berlina deferendolo ai nostri genitori. Attesi il giorno e il momento propizio e per rinfocolarlo, mi tolsi la sottana e girovagai per casa nella totale indifferenza in mutandine. Stavo pregustando il fremito dell’anticipazione. All’ora solita entrai in bagno e come sempre mi spogliai e entrai nel vano doccia. Dopo alcuni minuti ne uscii e per favorirgli lo spettacolo mi posizionai proprio al centro della scenografia che gli offriva la toppa. Fornitami di un asciugamani mi asciugai i capelli e un qualche attimo dopo con decisione e rapidità aprii la porta: lo beccai in pieno! La porta sbatté contro la sua testa e l’effetto fu tale che lo vidi barcollare e dovette tenersi per non cadere. Con l’asciugami ancora sulla testa, nuda, con assoluta disinvoltura mi avvicinai a lui e gli chiesi se gli avessi fatto male avendo cura di mettergli in evidenza un piccolo graffio che la maniglia della porta gli aveva causato, sarebbe stata la mia prova vincente: una manna caduta dal cielo. Imprecò con frasi insignificanti giustificandosi con
banali pretesti. Lo guardai in silenzio e mi parve che avesse perso le coordinate con il presente, sembrava essere volato a suonare l’arpa su di una nuvoletta. Approfittai del suo sgomento per esautorarlo.
Freddamente gli dissi che conoscevo da tempo la sua lubrica condotta, sottolineando che non mi infastidiva e continuai la mia argomentazione proponendogli la richiesta che mi ero preposta. Il suo apparente autocontrollo si infranse e il suo aspetto esteriore tradì la sua profonda agitazione. Compresi che per lui era e, ancor più sarebbe stato un boccone amaro da deglutire. Lo vidi indugiare sulla decisione che avrebbe dovuto scegliere. Trovò il coraggio di guardarmi negli occhi e mi fissò con uno sorriso sornione e mi disse che gli stavo chiedendo un grosso sacrificio. Il suo commento mi indusse a prendergli le mani e posargliele sui miei seni dicendogli --anche il premio è ambito! Penso che potrai sopravvivere- Non ebbi una risposta immediata, ma i suoi occhi libidinosi mi annunciavano che aveva abbracciato la mia allettante proposta. Con calma spaziale mi disse _ lo penso anch’io _ e un’occhiata incendiaria mi riempi di calore. Scorsi il suo viso rosso come un peperone. Per alcuni secondi regnò il silenzio. Non essendomi ancora asciugata venni colta da un leggero tremore. Vedendolo ancora strabiliato e inerme, cercai di alleggerirgli lo sconcerto che gli avevo destato e lo invitai ad asciugarmi la schiena. Gli porsi l’asciugamano e mi girai. Iniziò dalle spalle con movimenti lenti e soffici. Avvertendolo titubante gli chiesi se avesse il timore di farmi male e lo invitai a farlo con più energia. Sembrò tornare in questo mondo e destarsi dall’impaccio in cui l’avevo cacciato e svolse l’incarico con fervore, ma quando arrivo alle chiappette torno ad essere incerto. Attaccai dicendogli che ero bagnata anche lì, e anche più giù. Non seppi mai cosa gli passò per la mente quando accovacciato dietro di me si trovò il mio sederino a pochi centimetri dal suo naso, ma quando, dopo pochi minuti lo rividi, le gocce di sudore che gli colavano dalla fronte e il suo volto scarlatto furono, nella sua reticenza, più espliciti di ogni bel discorso. Non mi sentii mortificata per il mio immorale comportamento, avevo semplicemente ubbidito a impulsi estemporanei. Senza tanti convenevoli finii di vestirmi e sgusciandogli davanti scesi al piano terra dove mi aspettavano alcune mansioni da svolgere. Lui restò su, anche per lui era giunto il momento di farsi una doccia e avendo notato il rigonfiamento sui suoi jeans, anche senza avere nozioni eccelse al riguardo, immaginai cos’altro avrebbe fatto. Mi meravigliai di me stessa e della mia determinata audacia. Mi sentii tanto astuta da poter sottrarre le uova a un’aquila mentre stava covando. Quella stessa sera di soppianto esordii annunciando che sarei uscita con mio fratello, il quale acconsentì ammettendo che ormai ero grande e non l’avrei infastidito. Fu grande lo stupore che suscitammo a mia madre la quale non poté che rallegrarsi per l’armonia raggiunta. Finita la cena muniti di biciclette ci mettemmo in marcia per il paese che distava circa 1 km. Un finestra si era aperta e un nuovo inizio era apparso all’orizzonte. Essendo cresciuta in una fattoria ho potuto scorgere il variegato caleidoscopio dal vivo della vita sessuale di numerosi animali da cortile e da allevamento. Molto educativi sono stati quei rari accoppiamenti sbirciati tra bovini e equini da dove appresi la superlativa forza, per non dire violenza, del maschio che sovrastava sulla femmina, la quale in ogni caso, acquattata, soccombeva. La commiserazione che provai fu tale che imposi a me stessa che, qualunque cosa mi fosse accaduta nella vita sarei stata colei che avrebbe avvinto e irretito, ma mai mi sarei sottomessa a un maschio Ma per raggiungere tale obbiettivo avrei dovuto avere la portentosa conoscenza di ogni dettaglio. Traguardo lungimirante: ma sapevo che c’era sempre un modo di raggiungerlo quando si sapeva quello che si voleva e si era determinati nel farlo. Il primo passo l’avevo compiuto e avrei dovuto procedere con nuove iniziative. Mio fratello studente in agraria doveva conoscere o avrebbe conosciuto tutte le informazioni su sesso e procreazione delle quali avevo solo una superficiale conoscenza, e per quanto ostico nei miei confronti, aveva la sue debolezze e io le avrei prima scovate e poi utilizzate. Che, col senno del poi si rilevò un obbiettivo illusorio: ma ancora non potevo sapere. La sera dopo all’avvicinarsi dell’atteso evento in sua presenza incomincia a spogliarmi al piano terra dove avendo più spazio ebbi la possibilità di darmi un tocco di sensualità imitando le spogliarelliste che più volte avevo visto nei film. Sembrò gradirlo, tanto che mi seguì mentre salivo le scale ormai completamente denudata. Entrai nella doccia e lui restò lì a guardarmi attraverso i vetri della stessa. Lo immaginai infuocarsi scorgendo le mie curve accarezzate dalla schiuma. Mi chiesi se avrei mantenuto la stessa spregiudicatezza se non fosse stato mio fratello. Il non potermi dare una risposta non mi turbò. Finito di lavarmi uscii dal vano ancora bagnata e grondante, lui mi accolse con un’asciugamani e incominciò l’opera di strofinarmi. Scoprii quanto fosse delizioso sentirsi accarezzare, una delicatezza fino a quel momento inesplorata. Mentre mi asciugavo i capelli gli porgevo la schiena e lui partendo dall’alto scendeva verso il basso: le spalle, i fianchi, le natiche e giù per le cosce. Poi mi girai e mi strofinò il petto passandomi sulla tette poi scese sul pancino, poi abbassandosi mi strofinò con passione il pube. Aprii le gambe per facilitargli di asciugarmi anche il passerotto che fece con fare seducente e lo fece senza esitazione. Mi stupii di quanta sicurezza e quanta dimestichezza aveva acquisito dalla sera precedente. Mi interrogai se fossi la prima femmina che gli passava tra le mani nuda e mi convinsi di esserlo. Quando rividi il suo volto era teso e arrossato. Lo sguardo febbrile e la voce roca manifestavano una eccitazione evidente. Nemmeno io restai indifferente, quando la sua mano mi tocco i capezzoli, il pancino e in particolar modo lo strofinamento della fessura che tenevo tra le gambe ebbi un fremito che mi fece sussultare come se fossi attraversata da una scossa elettrica. Uscii dal bagno ancora nuda e andai nella mia stanza per vestirmi per poi scendere e apparecchiare la tavola per la cena. Mentre mi infilai le mutandine mi resi conto che lei, la mia fessura si era inumidita. Tutto procedeva nella massima serenità e mia madre continuava ad interrogarsi per lo sconvolgente affiatamento che era insorto tra noi due fratellini che ci eravamo sempre visti in cagnesco. Si chiese di certo quale ne poteva essere la motivazione. Se solo avesse potuto immaginare quale copia di serpentelli stesse allevando mi avrebbe ridotta a pezzi. A quel tempo era sopravvivenza, lui era il reuccio di famiglia, tutte le attenzione erano per lui. Io ero l’indesiderata, un maschiaccia che lei, mia madre, si lamentava sovente di non riuscire più a gestirmi. Non comprendeva che il mio comportamento era dovuto a gelosia, una viscerale invidia che mi portava a imitare lui, il maschio, il portento, l’orgoglio della famiglia. Vista da ogni angolazione mi sentivo candida e innocente come cappuccetto rosso. Tutto procedeva come d’incanto. Finché una sera mentre gli porgevo le spalle, mi prese una mano e lentamente me la condusse, dietro, verso di lui. Sentii l’atmosfera di colpo diventare elettrica. Il mio cuore aumentò i suoi battiti e le mani si misero a tremare. Compresi che non era più tempo di perdermi in calcoli. Lentamente me la posò su un aggeggio caldo e morbido: vellutato. Le mie dite al suo contatto si ritirano ma la mia remora venne soffocata dalla sua mano forte e decisa. Vanamente mi dibattei per qualche attimo, ma compresi che ormai avevo divorziato con la natura e cedetti rinunciando a ogni resistenza. Guidate dalle sue, le mie dita avvolsero quell’arnese che a me risultò enorme, duro e palpitante. Ubbidiente come una discente animata dal desiderio di apprendere, la mia mano incominciò a muoversi in un movimento sinuoso e ritmico. La curiosità nuda e cruda si mischiò allo sgomento ma anche alla fascinazione e non resistetti, senza mollarlo, contorcendomi, mi girai e quanta bellezza offerta al mio sguardo, che ricchezza, che opulenza uno spettacolo capace di muovere i sensi! Mamma mia! Ma quant’era grosso! Perduta in un irresistibile trasporto mi sentivo venir folle e il sangue rifluire verso la mia testa, mi sentivo bruciare in volto. Era il primo dardo che vedevo dal vero: teso, un pistone di carne con la capoccia rossa che mi guardava. Mi venne in mente la testa di un maiale mentre stava uscendo dal porcile. La mia mano si muoveva ormai autonoma e lui sentendomi partecipe scosto le sue posandomele sui fianchi. Lentamente, in una confusione mentale da far rabbrividire, le sentii scorrere, salire su, in alto fino a raggiungere i miei capezzoli. E mentre lui me li palpava io li avvertii, -per la prima volta- tumefarsi. Per un momento l’indignazione mi aveva dominata, ma percependo le sue mani tremare, il suo corpo agitarsi e rispondere ad ogni mio colpo di mano, le tenebre parvero diradarsi. Me ne stavo zitta mentre guardavo stupita il suo sguardo fisso, le sue labbra semichiuse, le sue braccia rigide nervosamente allungate sui miei seni. I suoi denti serrati indicavano tutto il preludio delirante di un evento che non conoscevo né sapevo prevedere. Il va e vieni della mia mano si operava ormai con abilità consumata quando una scossa di lui focosa in mezzo a grida forsennate, sospiri che sembravano emettere tutta la sua vita, mi schizzò sulla mia pelle nuda un guizzo lattescente seguito da un altro e poi un altro ancora dei quali non ne conoscevo ma che ne compresi subitamente la provenienza. L’evento che avevo vaticinato si era compiuto. Circospetta restai immobile, compresi che avevamo dato inizio a un gioco pericoloso e avrei dovuto armarmi di prudenza e di buon senso. Lentamente il coso che ancora tenevo in mano si era fatto molliccio, tanto, da sembrare un cetriolo sfatto. Tornato in sé sembrava essersi risvegliato da un coma profondo. Mi tolse la mano dallo zufolo e io me la trovai bagnata. Molto preoccupato mi ordinò di lavarmi accuratamente avendo cura di non toccarmi, facendomi segno tra le gambe, _là, _ mi disse che sarebbe bastata una goccia per fecondarmi: mettermi in cinta. Trasalii. Se per molte donne avrebbe significato la vita per me sarebbe stata la morte. Una autentica vergine di buona famiglia di soli 13 primavere ingravidata e per di più dal fratello ancora minorenne. Quale vergogna! Non volli pensarci. Entrai di nuovo nel vano doccia e mi lavai prima con acqua fredda, poi dopo essermi insaponata mi sciacquai con acqua quasi bollente. Finita la disinfestazione mi ritrovai sola e per un momento mi sentii sperduta e timorosa. Ritornò dopo qualche minuto con un libro e alcuni fogli che immaginai prelevati da giornali. Mi disse di leggerli appena mi fosse possibile perché avrei trovato nozioni molto importanti, “ scientifiche,” di cui potevo fidarmi.
Li presi senza indugiare, me ne andai nella mia camera e dopo essermi ricomposta tornai, distratta, ai miei impegni. La sera uscimmo ma entrambi non facemmo accenno all’accaduto, vigeva un imbarazzo reciproco e trapelava un forte terrore di venire scoperti. Ormai notte andammo a letto ma io restai sveglia per un certo tempo pensando a quel piffero dalle enormi dimensioni e alle difficoltà che avrei dovuto affrontare se avessi voluto riceverlo in grembo. Non sarebbe stato di certo quello, ma di sicuro uno simile, ed era al momento un evento ancora solo vagamente percepito ma già inquietante, poiché ritenevo tanto, troppo angusto lo spazio a lui destinato. Ma forse, pensai, che ero ancora piccola e crescendo--- Tenendomi stretta a quel pensiero mi addormentai. Ero arrivata a 13 anni completamente innocente, il mio pensiero si soffermava raramente su quello che concerneva la differenza tra i sessi. Quel mattino mi svegliai molto presto quando ancora la luce del giorno non aveva fatto capolino. Mi sentii sola, provai un bisogno strano, quasi di dilatarmi, di mettermi a mio agio. I pochi indumenti che avevo addosso mi infastidivano. Mi spogliai, mi stesi nuda sotto le lenzuola gustando la piacevole sensazione che il loro strofinamento mi dava sulla mia pelle provando brividi voluttuosi per tutto il corpo. Mi allungavo, mi stiravo, divaricavo le cosce, mi agitavo in tutte le direzioni assumendo atteggiamenti e posizioni indecenti. Mi sembrava che una vita nuova indossasse il mio essere: che fossi più grande. Provai un caldo torrido e mi scoprii, nella luce sottesa i miei occhi errarono compiacenti su di me, le mie mani volarono sul mio collo, sul mio seno e scesero più in basso dove si fermarono. Pensai che fosse un sogno, un dormiveglia profondo. Mi tornarono alla mente i suoni inesplicabili emessi da lui mentre mi schizzava addosso il suo liquido infestante. Non era un sogno, ero sveglia e consapevole di essere sola, non avevo più genitori né parenti, provai un vuoto terribile. Poi, esaminandomi, toccandomi di nuovo, mi chiesi se tutto quello non avesse uno scopo, un fine …
Istintivamente compresi che mi mancava qualcosa che non potevo definire, ma che volevo che desideravo con tutta la mia anima. Mi occorreva assolutamente una realtà, un corpo da afferrare, da stringere. Come in una allucinazione mi portai le mani alla bocca e mi succhiai le dita, poi mi leccai le braccia morsicandomi avidamente la carne credendo di farlo a un altro corpo. Avrei potuto diventare folle, il mio sangue fluiva bruciante verso la mia testa. Perduta in un irresistibile trasporto mi ero portata un cuscino tra le cosce e lo strinsi follemente mentre mi allacciai a me stessa circondandomi, ebbra di passione. Ad un tratto mi sembrò di fondermi, di sprofondare, di sciogliermi! - Ahh! -… gridai. Tornando in immediatamente in me spaventata. Ero tutta bagnata. Non capendo nulla di quel che mi era capitato, temetti di essere ammalata e ebbi paura. Trascorsi momenti di preoccupazione ma rumori dalla stanza adiacenti dovuti a mio padre che come sempre, mattiniero, si recava al lavoro, mi condussero alla realtà. Le prime luci dell’alba mi colsero ancora nuda e stanca di fantasticare ad occhi aperti, mi riaddormentai, in un dolce sonno ristoratore.
Alcune ore dopo liberata dalle incombenze assegnatomi da mia madre, finalmente sola, mi dedicai avidamente alla lettura del libro che mi era stato fornito la sera prima. Lo trovai portentoso e mi rese ricca di conoscenza. Descriveva in modo scientifico la fecondazione animale, ma sapendo che le donne e le vacche erano simili nei tempi e nei modi ne trassi le dovute considerazioni. Nei fogli di giornale erano riportate tutte le nozioni inerenti la trasmissione delle malattie sessuali e del come difendersi dai contagi. Riportava inoltre, per me sconcertanti rivelazioni sui numerosi metodi di amplessi tra i sessi, informando sui più semplici e sicuri sistemi contraccettivi. Imparai e annotai. Entusiasta di quanto avevo appreso, il pomeriggio mi recai a casa di una mia amica per annunciare tutto quello che avevo acquisito e subito dopo gli raccontai dell’episodio che avevo vissuto il mattino. Lei mi guardò stupefatta. + Bhe, tutto qui? + Mi disse, + Direi che sei venuta. + -Venuta dove- Dissi io. + Ma sei proprio cretina o lo fai!+ Mi rispose. Io restai allocchita, proprio non capivo. + Andiamo su,+ mi disse, + che ti darò una lezioncina. + Appurato che sua madre fosse impegnata nelle sue faccende domestiche mi condusse al piano superiore, nella sua stanza
da letto. Mi disse di stendermi sul letto e senza preamboli si stese accanto a me, mi tolse il cuscino di sotto la testa e me lo mise sul volto avendo cura di coprirmi solo gli occhi. Accecata, mi chiesi a quale gioco stava mirando ma pochi secondi dopo mi ficcò la sua lingua in bocca facendomela roteare da una mascella all’altra e dopo un paio di giri me la estrasse. Mi chiese se mi era piaciuto. Io non avevo mosso un muscolo cercando di apparire disinvolta smentendo la mia tensione. Provavo un torbido raccapriccio ma il morbo di una curiosità famelica mi indusse a resistere. Lei aveva ripreso fiato e ci riprovò e ne usci un bacio dolce, delicato e pieno di ricami come non mi sarei mai aspettata. A quel punto cercai di ricambiare ma più provavo a muovere la lingua con meno ci riuscivo. Credevo di impazzire, ma poi come per miracolo la lingua si mosse, si sciolse e gliela infilai in bocca a mia volta. Ci perdemmo in un bacio lunghissimo. Il suo insaziabile desiderio lo sentivo evidente e la verità era che anch’io incominciavo a sentirmi così, la sua passione incitava anche la mia: anche troppo. Mi ero liberata dal cuscino che avevo sugli occhi e ora potevo vederla accavallata sopra di me. Mi chiese +va meglio? + non seppi che rispondere. Lei mi guardava fissa. In un attimo si sollevò la maglietta e rimase con le tette scoperte. Ci ero rimasta stecchita. + Dai +, aveva detto lei con una voce da bimba. Io me ne ero rimasta muta a fissarla, non capivo. Lei mi prese le mani e me le portò sulle sue tette, le sue dita sopra le mie incominciarono a muoversi.
Le sentii sode, morbide e calde, coi capezzoli duri come noccioli di ciliegie. Ci passai sopra i pollici e loro si inturgidirono sempre di più. Alzai gli occhi e la guardai in viso, la vidi con la bocca socchiusa e lo sguardo concentrato sui suoi seni. Ogni tanto abbassava le palpebre e tirava un lungo sospiro. A un certo punto gettò la testa all’indietro e si mise ad ansimare forte. D’impeto venni presa da una foga incontenibile. Mi accostai con le labbra ai suoi capezzoli e ne succhiai la punta con avidità. Li leccai, le strizzai i seni tra le mie mani. Lei si abbandonò e sarebbe precipitata su di me se non l’avessi sorretta. Abbracciate, io continuai a succhiarle le tette. + Adesso mordi + mi ordinò. Io mi fermai e la guardai stranita. - cos’hai detto?- lei mi strinse la testa contro il suo seno e mi disse, + Mordi! + Mi misi un capezzolo tra le labbra e strinsi. + Più forte! + Ansimò. Inflessibile, gli strinsi i denti attorno e diedi un affondo. Lei cacciò un urlo. + Più forte + Ripeté quasi strillando. Mi resi conto che anch’io provai un forte piacere nel farlo e senza esitare tornai a mordere ancora più intensamente. Ne seguì un gemito straziante! - - Ti ho fatto male -- Gli chiesi. + si + Mugugnò. Si slaccio la cinghia dei jeans e abbassò la cerniera, mi prese una mano e se l’appoggiò sulla pancia e la spinse in giù. Le mie dita percepirono la sua fessura tutta bagnata e lei ebbe cura di posizionarmi le dita in un punto preciso e incominciò a strofinarlo. + Lì, spingi, muoviti forte, più forte, baciami! + Gli infilai la lingua in bocca e lei mi accarezzo tutta. Si staccò da me e io restai a guizzare la lingua all’aria e mi disse + Mordimi! + Avevo capito l’antifona. Le presi di nuovo in bocca un capezzolo e mentre mi davo da fare con la mano tra le sue cosce glielo morsicai senza indugi in una presa ininterrotta fino a quando lei caccio un nuovo urlo e si accasciò su di me. Mi trovai sdraiata con lei sopra, i suoi capelli mi coprivano il viso. Mi staccai da lei e la guardai: teneva la testa piegata da un lato, l’aria beata di un angelo e deglutiva a ogni respiro. Pur immaginandolo non ero certa di quanto le fosse successo per cui, perplessa, le feci sommessamente una domanda interrogativa --Sei Sei venuta? -- Aprì gli occhi e mi rispose. + Si! + E aggiunse. + Grazie per lo stupendo orgasmo che mi hai regalato. Adesso hai capito come si usano le dita? + Nascosi la sorpresa di quanto avevo udito -arguii, senza capire a fondo,- Mi guardai la mano ancora bagnata e me le portai al naso fiutando l’odore del suo sesso. Ebbi la netta sensazione, anzi la certezza, di inseguire un istinto involontario, contrario alla mia normale inclinazione, ma era la mia migliore amica fin dai primi giorni di scuola per cui non ci vedevo nulla di male perdermi in giochi. Inoltre io dovevo apprendere e lei mi aveva dimostrato di saperla lunga in materia. Pur conoscendoci da tempo non ci assomigliavamo neanche minimamente, tuttavia dovevo ammettere che lei incarnava qualcosa che a me mancava: la spregiudicatezza. Strabiliata dalla sua maestria avrei voluto chiedergli se la sua fosse arte innata o se avesse avuto un insegnante, ma non lo feci, non volli essere invadente nello scoprire scheletri negli armadi, inoltre si era fatto tardi e sua madre avrebbe potuto insospettirsi. Comunque fosse andata, da quella prova ne uscii indenne. Imparai e annotai. Me ne andai molto soddisfatta e con un umore quasi pimpante l’assicurai che presto ci saremmo riviste. In poco tempo avevo fatto un salto notevole nel futuro, le mie giornate stavano diventando divertenti e interessanti ma dovevo essere cauta, il meccanismo poteva rompersi. Ben presto si fece sera e un altro impegno mi attendeva. Mi spogliai e gettai i vari indumenti nel cestino dei panni che andavano lavati, non mi meravigliai trovando le mutandine bagnate. Liberata da indumenti che sentivo inutili, nuda senza alcun pudore salii le scale e come al solito entrai in doccia. Dopo alcuni minuti ne uscii e come mi aspettavo mi trovai in compagnia con lui che, nudo con la verga altera era in trepidante attesa di un mio procedimento terapeutico. Coinvolti in una disinvoltura apparente, immersi in un silenzio che urlava, entrambi smentivamo la tensione che il senso di colpa ci infliggeva. Lui, se lo teneva con due dita, una sopra e una sotto. Lentamente, molto lentamente le faceva scorrere su quasi tutta la sua lunghezza scoprendogli a ritmo la testa rosata. Ero in uno stato di sospensione pur sapendo che prenderlo in mano la seconda volta sarebbe stato molto più facile. Mi avvicinai e senza timori glielo accarezzai per stimolarlo, adorai sentirlo pulsare e vederlo indurirsi ancora di più diventando più grosso, più minaccioso. E, come un angelo che guidasse la mia mano, incominciai a maneggiarglielo con destrezza e coraggio, nei suoi occhi insorse un inequivocabile desiderio. Mi inginocchiai per averlo più comodo e per poterlo ammirare più da vicino: ne sapevo ancora poco e volli vedere per capire. Ero a pochi centimetri dalla punta e potevo scorgere il buco da cui sarebbero stati imminenti i guizzi della sua essenza. Un evento inevitabilmente ne attira un altro legandosi al precedente, così avendolo tanto vicino alla bocca provai un desiderio impellente di leccarlo, succhiarlo. L’avrei fatto se solo avessi saputo come fare, cosa fare, e se non avessi avuto timori di malattie immaginarie, di infezioni, batteri e cose simili. Avevo letto il mattino che con il coito orale non si restava incinta, l’unico pericolo a cui sarei andata in contro consisteva nella trasmissione di malattie che, lui, non aveva di certo, per cui avrei potuto osare. Pensai alla mia amica Dxxx e mi chiesi cosa avrebbe fatto lei, con la sua audacia in quel frangente. Sostenuta da quella riflessione tirai fuori la lingua e gli leccai la punta, proprio su quel taglietto che avevo appena esaminato. Lo sentii salato, ma non sgradevole. Senza fermare il moto della mia mano gli avvolsi il capo con le labbra e lo inumidii con la lingua. Al contatto con la delizia delle mie umidità lo sentii gemere e emise sommessi mugolii di piacere. Capivo di essere sulla via regia ma ancora titubante sul da farsi. Ero sapiente in alcune cose e ignorante in alte, ma sulla manualità ero conscia di essere duttile e se mi fossi applicata avrei potuto eccellere. Feci ricorso alla mia fantasia e presi il controllo della situazione. Non l’avevo mai fatto e non sapevo quali operazioni risultassero più soddisfacenti per lui; decisi di evincerli dalle sue reazioni. Prima cosa, pensai, che avrei dovuto dimostrargli che mi piaceva farlo, lo impugnai saldamente alla base e con le labbra socchiuse mi misi a bacialo e leccarlo con mossettine soffici. Poi gli diedi un’aspirata e me l’affondai in bocca, poi continuai a concentrarmi sulla punta. Lui stava lì, senza dire nulla, io gli girai delicatamente la lingua e poi giù una bella succhiata. Non riuscii a tenere tutta quella carne in bocca per cui dovetti tornare a leccarglielo da sotto, come se fosse un gelato ricoperto alla crema, il più buono che avessi mai assaggiato. Da lui non ebbi alcuna reazione. Nonostante gli dimostrassi la mia dedizione, che mi piacesse da matti farlo, non capivo se gli gustasse o no. Lo ripassai tutto come da inizio dandoci dentro al meglio che potevo quando lui con un colpo di reni improvviso me lo spinse in bocca, fino alle tonsille. Provai un conato di vomito, ma lui nemmeno se ne accorse. Pompava avanti e indietro con fare frenetico. Cercai di resistere, non volevo vomitare e nemmeno chiedergli di smettere. A un certo punto quando ormai mi sembrò di morire soffocata, assestò un altro paio di colpi da farmi saltare le otturazioni ai denti, emise un rantolo lunghissimo e mi si sentii la bocca piena di roba calda. Il suo sollievo era arrivato molto prima di quanto mi aspettassi. Cavolo! pensai, ancora una volta non seppi che fare. Buttarlo giù ebbi paura di affogare o di intossicarmi. Lo sentivo viscido, colloso, denso come gelatina con un sapore amarognolo. Con gli occhi che mi lacrimavano riuscii a trattenerlo senza inghiottirlo e non appena lui incominciò a ritirarlo lasciai uscire quella brodaglia che grondante mista alla mia saliva stillò sul pavimento. Alzai lo sguardo e lo sbirciai, teneva gli occhi chiusi e la testa rovesciata all’indietro. La raddrizzò e mi disse + Sei stata brava, ma adesso è meglio che ti risciacqui la bocca. + Non lo avevo fatto solo per fare godere lui ma per imparare, tuttavia apprezzai il complimento. Con la bocca impasticciata, le guance che palpitavano, accaldata in volto, mi accostai al lavandino e mi liberai di quella sbobba. Quando mi girai era sparito, lo vidi dentro la doccia con il suo manganello che, ancora consistente, pendeva come un sedano avvizzito. Provai freddo in mezzo alle gambe, l’avevo tutta bagnata. Me l’asciugai con carta igienica e le feci una promessa. Quando quella notte fossi ritornata, sotto le coperte, nuda gli avrei dato una massaggiata.Tornammo a notte fonda. quella sera avevo rivisto la mia amica Dxxy la quale mi disse che nel pomeriggio di domani sua mamma sarebbe andata dalla parrucchiera per cui sarebbe stata sola. Il motivo per il quale me lo disse non glielo chiesi ne volli saperlo, ma assaporava tanto di invito e io immaginai che ancora una volta sarebbe stata, per me sorprendente. Andai a letto, sotto una leggera coperta mi denudai. Chiusi gli occhi e i pensieri del pomeriggio appena trascorso mi attraversarono la mente. Era stata una giornata intensa, lo sbaciucchiamento che avevo avuto con Dxxx, quella profusione di eventi dirompenti, di emozioni conturbanti e sopratutto di sorprese mozzafiato mi stressarono. Non riuscivo a cancellarmi dalla mente gli occhi della mia amica quando nel momento culminante gli si rovesciarono all’indietro, i lamenti di mio fratello mentre si sgorgava nella mia bocca. Provai invidia per quelle sensazioni dalle quali io sembravo essere esclusa. Le mie dita si mossero con dolcezza, prima si posarono sulle guance, poi sul collo e giù per i seni. Mi strinsi i capezzoli fino a farmi male come feci con Dxxx e subito si inturgidirono, ma non provai nulla di particolare. Scesi più giù con una mano e giunsi alla fenditura che si era mantenuta umida. Cercai con diligenza quel punto sul quale lei mi aveva sistemato le mie dita e che in seguito lo sentii ingrossare divenendo come un nocciolo di ciliegia. Eravamo due femmine, uguali, stessa età, per cui anch’io avrei dovuto averlo, ma non lo trovai. Forse ero difettosa, pensai. La mia apertura la percepii diversa dalla sua, la mia era lunga da appena sotto l’ombelico fino all’altro buchetto più sotto, la sua era più corta e ben definita, la mia era molliccia, senza bordi, mentre la sua sembrava un’aiuola contornata da bordure consistenti: pareva un’altra bocca dalle labbra turgide e carnose. Ritenevo la mia molto, troppo stretta ma dopo quella dettagliata esplorazione mi ricredetti. Allargai le gambe, gli infilai la mano un po’ dentro e un po’sopra e cominciai a darci dentro a rotta di collo. Mi bagnai ulteriormente, le dita scivolavano trepidanti mentre con l’altra mano mi stringevo tra pollice e indice un capezzolo, ma per quanto mi disperassi ne ricavai solo sangue. Ormai rassegnata pensai di essere anormale. Dimenandomi avevo aggrovigliato il lenzuolo tra le gambe che poi nel girarmi si adagiò tra le cosce frizionandomi la mia preziosa gemma che, ostinata si
rifiutava di farmi gioire. Ebbi un fremito, un sussulto. Quell’involucro inerte tra le gambe mi solleticava un morboso piacere. Sentii nel ventre qualcosa che non conoscevo, che non sapevo, strinsi le cosce e poi le aprii, poi le strinsi di nuovo e mi girai. Sentii un bisogno che mi sorprese, eppure lo provai, forte, intenso. Mi persi in un gioco di fantasia. Abbracciai il cuscino e lo baciai, lo morsi, desiderai la carne, calda, morbida, voluttuosa, cercai una risposta al mio ardore. Un corpo, ecco cosa mi serviva, un corpo da usare e che mi adoperasse, giochi dentro lubrici diletti: ecco cosa bramai. Domata dall’enormità dell’intuizione che mi aveva illuminata, mi rilassai, mi ricomposi e fagocitata dalla stanchezza il sonno pose finalmente termine a tutti quei furori. Quando mi svegliai il sole brillava già alto nel cielo con tutte le sue fiamme ardenti. I suoi raggi passavano gioiosamente attraverso le tende e giocavano in riflessi dorati sugli specchi. Un risveglio che mi restituì a me stessa. Dopo le solite abituali faccende, rimasta sola in casa, mi accinsi a un ripasso di quei fogli e di quel libro avuti in precedenza. Con l’aiuto del dizionario dissertai alcune parole che pur intuendole non mi consentivano una esatta cognizione, come; penetrazione, i vari tipi di coiti, orgasmo, eiaculazione, clitoride e quant’altro che, - a scodelle lavate -, è, acqua passata che oggi non macina più. Quelle nozioni spinsero la mia curiosità al parossismo. Presi uno specchietto dalla borsa di mia mamma, mi sedetti sul bidè e da sotto incominciai a scrutarmela. Scorsi subito le grandi labbra e sotto di esse le piccole, la caverna buia da dove, prima o poi, sarebbe entrato un salsicciotto, ma del clitoride nemmeno l’ombra. Mi convinsi di avere un difetto di fabbrica. Decisi di affidarmi alla mia amica, ero convinta che lei sapesse tutte queste cose. Nel pomeriggio verso le 15 imboccai la strada che mi avrebbe condotta da lei. Provai un attacco di ansia pensando all’enormità di quanto stavo facendo e nella situazione in cui mi stavo mettendo, ma non sopportavo che nulla venisse a turbare quell’idillio. Ero stata risucchiata da un modo di vedere e di sentire completamente nuovo: sentivo un profumo di pericolo, di peccato. L’entusiasmo che provavo dirigendomi verso casa sua mi sorprendeva, ormai avevo aperto una porta e avrei dovuto attraversarla. Le illuminanti informazioni ricevute dall’approfondimento delle precedenti letture mi destarono le tracce di desideri dei quali ero ancora ignara, innescarono una smania sessuale abbinata all’anelito di godere. Con quel fermento giunsi a casa della mia amica la quale mi ricevette rallegrata. Poco importava il sesso di lei, imparai ben presto che il mio erotismo si sarebbe consumato nei dintorni di quello che avessi incontrato. A quell’ora faceva un caldo infernale, arrivai tutta sudata. Mi chiese se volessi darmi una rinfrescata: accettai di buon grado. Andai in bagno e tolta la maglietta restai con i seni al vento. Mi sciacquai e mentre mi asciugai la vidi nello specchio appoggiata alla porta che mi guardava sorridente. Una scena ormai trita e ritrita. + Hai due belle tette, + Mi disse. Un po’ sorpresa gli risposi, - Non quanto le tue. - Fu la prima risposta che riuscii a darle. Non ho mai avuto la battuta facile, né ho mai amato mettere in gioco l’abilità della mia mente facendo osservazioni acute per dimostrare quanto fossi intelligente. Ho sempre preferito avere notizie più che darne ascoltando a bocca aperta come una credulona dando a volte la sensazione ai miei interlocutori di essermi istruita dalle galline di mia madre anziché dai banchi di scuola. Una apparenza contenente una buona dose di verità che, non potendola eliminare né correggere, la usai come espediente dal quale in futuro ne ricavai frutti saporiti. Senza batter ciglio si accostò a me, e con innocente candore si alzò la maglietta scoprendosi le sue. Appaiate, ce le guardammo reciprocamente con l’intento di un innocuo confronto. Aveva i capelli castano scuro, liberi e ondeggiati sul collo e sulle spalle, il volto armonioso disegnato dolcemente dalle forma squisite. Non potei fare a meno di invidiare i suoi seni ancora immaturi delicatamente carnosi, ma al tempo stesso così rotondi, così solidi che si sostenevano da soli, puntati in direzioni diverse mettevano in risalto la loro piacevole divergenza. Il mio corpo paragonato al suo non poteva competere, non ero li per farlo né soffrii per l’evidente disparità.
Si girò verso di me e io la imitai. Si avvicinò quel tanto che gli servì per unire i quattro capezzoli, prima li strusciò e poi li compresse: i suoi si conficcarono nei miei. Come suo solito si impose con sfrontatezza. Mi mise una mano dietro la nuca e mi attirò a lei, mi ficcò la lingua in bocca in un bacio che mi soffocò. Se non l’avessi conosciuta l’avrei giudicata come la fanciulla più perversa che l’inferno potesse vomitare, ma la sua disinvoltura, la sua cristallina genuinità, la totale assenza di malizia l’assolveva da ogni iniquità e indulgeva anche sulla mia moralità. Dal canto mio non sollevai obiezioni, a conti fatti eravamo amiche in cerca di nuove emozioni e ansiose di sperimentare nuove esperienze, non facevamo nulla di male e tutto sarebbe rimasto un segreto scritto nel libro della nostra adolescenza. Del resto potevamo avere il giudizio che la nostra età ci comportava. Lei mi considerava una incontaminata e avrebbe certamente cambiato opinione se avesse solo immaginato che la sua lingua l’aveva insinuata dove poche ora prima stagnava la broda di un ragazzo che seppur mio fratello era pur sempre un uomo. Io avevo in serbo un paio di domande da farle che mi giravano nella testa come un vino d’annata e per un paio di volte fui sul punto di farlo ma venni impedita dalle sue folgoranti iniziative. Si tolse definitivamente la maglietta e in quel momento avrei potuto fargliele, almeno una di domande, ma ancora una volta me ne stetti zitta. Audace come al solito, mi prese una mano e si strofino con le mie dita un seno. Trattenni il respiro e ardii col chiederle -- è possibile che io non abbia il clitoride? -- esterrefatta non aprì bocca, ma il suo sguardo eloquente parlò per lei e io mi sentii un’ebete. Ancora una volta mi sorprese dicendo + un modo per saperlo ci sarebbe vieni + mi disse. Mi prese per mano e mi accompagnò sul suo letto, + sdraiati + mi ordinò. Ubbidii devotamente.
Lei si mise a cavalcioni sopra di me, mi abbassò la lampo dei jeans, si mise un dito in bocca e se lo bagnò, mi cacciò una mano sotto le mutande, mi infilò il dito sopra la fessura e me la massaggiò, lo tolse e se lo rimise in bocca: follia! Pensai. Avrei voluto dirle: tranquilla c’è! c’è!... + Adesso girati + Mi disse.
Ero effettivamente convinta che lei si prodigasse per il mio bene, per cui ubbidii. Mi calò i pantaloni fino al ginocchio insieme alle mutande, con le mani mi accarezzo le chiappe poi passò alla lingua e me la fece scorrere sopra e ogni tanto me le mordeva. + Hai un bel culetto mi disse, bello stagno + Mi apri le natiche e insieme fece guizzare la lingua, fu gradevole, ma non ne ero tanto sicura, temetti che lì aleggiassero odori tremendi e non mi andò che lei li annusasse. Mi venne alla mente quando da bambina mi costipavo e per sboccarmi e di lì mi ci infilavano le supposte, ricordo di una paura folle, piangevo e proprio non le volevo, così affinché non le cacciassi fuori me le spingevano bene in fondo infilandomi tutto il dito che era più grosso della stessa supposta. Mi girai di forza e lei reagì sfilandomi i jeans lasciandomi completamente nuda. Tenevo per timoroso pudore le cosce chiuse e lei tentò di aprirmele. Esitai molto prima di mollare ma anche lei insisti tanto e alla fine pensai che un’ occhiata non poteva certo farmi male, così gliela diedi vinta, ma quando me la vide mi sembrò meravigliata da quanto vedeva il che incuriosì anche me. + sei tutta fessa + mi disse + hai un taglio che è il doppio del mio + -- Cavolo! Lo sapevo che non ero normale! -- A quel punto, incuriosita, volli vedere la sua: che fu per lei come invitare un’ochetta a bere. Si spogliò in un attimo e andò a mettersi ai miei piedi con le gambe aperte esattamente come le avevo io. I nostri piedi si toccavano e avevamo entrambe la reciproca visione delle nostre parti regali. Scorsi subito al di sotto dei seni il delizioso tratto del ventre terminare in una fessura carnosa e appena discernibile ritirarsi verso il basso e cercare un rifugio tra le cosce ben tornite per terminare con due petali di rosa. Un ricciuto di peli morbidi e sottili come i suoi capelli sembravano proteggerle la parte anteriore e vestirla di un ricco zibellino, e non quel boschetto di cespugli e arbusti intricati che avevo io. La sua femminilità avrebbe risvegliato un eremita morente: in tutto l’orgoglio della sua nudità la vidi come un vero soggetto per pittori! Mi guardò dritta negli occhi e mi disse + ora proviamo se il tuo clitoride risponde.+ Si allacciò alle mie braccia con le sue, le nostre gambe si incrociarono: stringiamoci! Mormorò. Ci tenevamo incastrate una nell’altra con le gambe inforcate, i nostri ciuffi di peli pubici si unirono, io ebbi un attimo di esitazione ma lei mi avvinghiò ancora di più, ancora più forte. Lei incominciò a sfregare le labbra della sua fessura alla mia, le nostre parti più sensibili e più intime si attaccarono, mi respinse poi si riattaccò con un vigore che sembrò volesse spezzarmi tanto era violenta, il suo respiro era ansimante: sembrava bruciare. -- Ahi! Ahi! -- Mi sentii scorticata. Gridai, -- non ne posso più, mi fai male!-- Lei sembrò sentirmi, + Ah! Ah! Colo. ! Ah! Ah! + La sua testa gli ricadeva di qua e di la, poi si rovesciò all’indietro. Masticava i suoi capelli che gli fluttuavano sul volto, una forza della natura al colmo di una violenta eccitazione. Erano ormai alcuni minuti che lei era tuffata in quella inebriante vertigine, l’irritazione giungeva ormai a tutte le mie membra, quello sfregamento di peli contro la mia pelle tanto tenera, contro la carne viva, mi causava un prurito divorante mentre lei sembrava rotolarsi nel fuoco, nella gioia dei sensi. I suoi occhi divennero di fuoco, le sue guance di un rosso ardente, gli occhi chiusi, la sua bocca semi aperta, compresi che l’istante fatidico per lei s’avvicinava, intesi un respiro emanato soavemente, un altro simile che gli rispondeva; dopo venne un grido, ne seguì un altro soffocato e restò immobile, un attimo dopo si accasciò. Infernale lubricità! Sembrò che un fulmine giunto dal cielo l’avesse colpita trasformandola in marmo. A stento mi mossi per liberarmi da quella morsa ma non ebbi la forza di togliermi dal mio posto. La mia ragione era confusa, il mio sguardo offuscato. La sua brutale voluttà mi turbò. La figura di Dxxx era anch’essa singolarmente cambiata, aveva lo sguardo fisso, le braccia rigide nervosamente allungate, i suoi denti serrati indicavano un delirio che toccava il parossismo. Avrebbe avuto la necessità di un sonno benefico per mettere fine ai suoi impeti. Alla fine, la povera bambina si risvegliò quasi ridente, ritrovò subito i suoi dolci pensamenti, tornò ad essere la fanciulla abituale con tutta la sua innocenza. Rinvenuta da quel torpore mi chiese + Ti è piaciuto?+ In realtà non era stata un’afflizione, ma di venire ancora non avevo idea di cosa significasse. Per non deluderla le risposi un - - Si!-- Molto incerto. La vidi spiaciuta, mi sembrò una anima gemente che cercava la via del cielo. Ma lei non si scoraggiò, indietreggiò fino a scendere dal letto, io avevo ancora le gambe aperte e lei non esitò a tuffare il suo viso tra di esse. Sbalordita, accettai con perplessità e enorme stupore le sue coercitive iniziative e la lasciai fare certa che non avrei avuto conseguenze sgradevoli, ma ero nervosa, le mie orecchie erano tese in una guardinga vigile tensione: se sua madre fosse tornata! Non mi sentivo a mio agio in quella stanza, oltre a lei qualcuno o qualcosa mi stava osservando: eppure eravamo sole! Era solo un fantasma che aleggiava nella mia mente. Eravamo in casa sua e lei di quei pericoli non ne dava alcun sentore, anzi, continuava nella sua opera di esplorazione con determinazione e sicurezza, per cui mi rilassai. Lei nel frattempo si era accovacciata davanti alla mia fenditura con cautela professionale si mise all’opera. Mi fece entrare la punta della lingua dentro il solco, la fece entrare e uscire con un ritmo rapido e spietato. Poi si mise a girarci attorno alternando leccatine corte e compresse seguite da slinguate languide su tutta la superficie dei miei petali, poi, me la rinfilò dentro facendola scorrere come una leggera brezza. Incominciai a sentirmi bene, non mi ero mai sentita così bene! Mi sentii divinamente bene! Le sue labbra tanto morbide da sembrare fatte per baciare culetti di neonati mi sfiorarono il pancino, ne venni sommersa dalla marea della sua acquosità. Affondò il viso nella mia pelle e passò dal ventre al petto, al collo, sul mio viso e tra i capelli, sulle braccia tra le pieghe dietro l’orecchio. Si sposto di nuovo sui mie seni, giù per l’ombelico, più giù per il ventre, le cosce e incuneò la lingua nella mia perla. Mi impregnai di lei dalla testa ai piedi, non volli sprecare nulla di quel momento, sbloccai tutti i miei scompartimenti interni per ricordarlo, imprimerlo come un marchio, decrittarlo con la massima esattezza come se fosse una formula magica. Mi ritenni fortunata di avere un’amica che si adoperava profondendo tanto impegno per rassicurarmi. Si attaccò alla mia passerotta come se volesse spennarla viva, continuò con una avidità da sembrare un’assetata che si abbeverava a una roccia, succhiò a bocca spalancata come poteva fare solo la ventosa di una piovra gigante, la sua lingua la fece guizzare tra le pareti del mio territorio proibito. Mi sentii dentro un pesciolino che imprigionato in una rete, ammattito, si dibatteva per guadagnarsi la via della libertà. Mi chiesi se il suo impegno fosse mirato al il mio benessere o piuttosto alla soddisfazione dei suoi sensi. Passiva come un automa fino a quel momento non provai nulla di particolare, ero in procinto di abbandonare quando all’improvviso credevo di aver provato qualcosa di nuovo, un inezia appena avvertibile, un frammento: piuttosto il presentimento di un piacere, che non era un piacere vero e proprio, ma nello stesso tempo il presentimento di qualcosa mai provato, un deliquio così straordinariamente delicato e fine che non riuscivo a trattenerlo, di continuo esso si sottraeva alla mia percezione e poi ad un tratto di nuovo si presentava come una splendida traccia da seguire, da ascoltare per poi svanire. Cadetti in preda a tormenti, non era il piacere di un dolce prelibato, non era l’aroma di un profumo delizioso, ebbi l’impressione che quel piacere fosse la chiave per classificare tutti gli altri piaceri, che non avrei mai capito nulla di piaceri se non avessi provato quello, che avessi sprecato la mia vita se non provassi quel piacere unico, non per mera goduria ma per la pace del mio animo. Stavo male per l’eccitazione, spaventata dalle mie stesse sensazioni ero tentata di allontanarla, di liberarmi di lei , ma i suoi artigli conficcati nella mia carne mi dissuasero dal farlo: non volli farlo! Non l’avrei mai fatto! Era troppo bello! Mi abbandonai senza riserva alcuna a quelle percezioni. Non riuscii a scoprire la direzione da cui veniva quel piacere, per attimi venni colta, sopraffatta dall’orribile angoscia di averlo perso, per sempre. Poi provai qualcosa, anche più forte di prima, capii di essere sulla strada giusta. Venni colta dal panico, il cuore mi batteva forte ma non per la fatica bensì la mia eccitata impotenza in presenza di quel piacere. Tentai di ricordare qualcosa da poterlo paragonare ma dovetti scartare tutti i raffronti. Quel gusto aveva in sé un miscuglio unico, era debole e lieve e tuttavia forte e deciso come un latte dolcissimo in cui il biscotto si scioglie. Indescrivibile! Impossibile classificarlo in qualche modo, in realtà credevo che non potesse esistere! Il cuore mi batteva ansioso poiché sentiva che non era lui a seguire il piacere, bensì il piacere ad averlo catturato, e lo attirava irresistibilmente a se. Ad un tratto non vidi più nulla, ma non ebbi bisogno di vedere, il desiderio ormai mi conduceva con sicurezza. Lo sentivo crescere, divenire molto più intenso, più puro, di una purezza linda, esso acquisì una forza d’attrazione sempre maggiore. Ebbi paura...se non si fosse fermato...! Ma ormai non avevo più una volontà mia, mi ero dissolta in esso e esso in me. La fanciulla sentendomi in estasi aumentò il suo ritmo, tremai, mi inebriai: la passione mi aveva sopraffatta. Provai una voluttà come mai avevo provato in vita mia, dolorosamente intensa, acuta, sublime. Rapita dall’estasi mi contorcevo in una tormentosa attesa, di cosa non lo sapevo, mi sentii gelare di paura.
--Basta! Tu mi uccidi!- - Il sangue mi salì alla testa, poi scivolò al centro del mio corpo e risalì di nuovo e ridiscese, e io non riuscii più a controllarmi. Il suo attacco era stato troppo aggressivo, troppo prepotente.
Soffrivo tanto... strinsi la sua testa tra le mie gambe per fermarla, ma lei rispose male ai miei auspici. Mi attaccò furiosa con la bocca, poi con la sua lingua appuntita come una stiletto me la spinse dentro e la ritirò rapidamente. I suoi denti mi afferrarono e sembrò volessero lacerarmi. -- Basta!- - La presi per i capelli e la tirai, allora si mise a leccarmi lentamente, dolcemente, mi mordicchiò il pelo e la carne con delicata raffinatezza: una delizia che mi inebriò. Le sue labbra sottili e ferme dovevano aver individuato il mio clitoride, mi sentii premere poi aspirare sino a strapparmi l’anima. Gridai...urlai senza moderazione -- No! Dxxx! -- Che tensione ai miei poveri nervi, che battiti nelle mie arterie. Bruciavo, ardevo, la sua bocca mi divorava in mille parti, mi sembrava di essere mangiata. Non reggevo più, non riuscivo più a capacitarmi. Dal profondo del mio ventre insorse un calore, un nodo si sciolse e si propagò per tutto il corpo, mi salì fino alle orecchie, mi ridiscese tuonando quando mi arrivò alla bocca. Emisi un lungo grido snervante quando raggiunsi l’acne dell’estasi e dopo alcune lunghe, lubriche convulsioni mi sentii sollevata. Oh! che beatitudine, quanta gioia avevo provato! Mi sentivo una naufraga sopravissuta in un mare in tempesta nel quale non avevo mai navigato, ma ne era valsa la pena affrontare tanti batticuori per ottenere una ricompensa così straordinaria Una decisione l’avevo già presa, dovevo riprovare quell’emozione ancora non una volta ma bensì dieci, cento, mille volte ancora, senza più limiti né confini. Ridestata da quella seducente pace dell’animo, la prima cosa che vidi fu il faccino di Dxxx che come una gattamorta mi guardava. Aveva un ciuffo di capelli che le coprivano una parte del viso e tra di essi spuntavano due occhietti vivaci e spaventata dalle mie stesse emozioni tentai di allontanarla. Aveva un ciuffetto di capelli che le coprivano una parte del viso e tra di essi spuntavano due occhietti
(continua2) Amichetta 2016
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Vi invitiamo comunque a segnalarci i racconti che pensate non debbano essere pubblicati, sarà nostra premura riesaminare questo racconto.
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